Il mio viaggio in Groenlandia
Il mio viaggio in Groenlandia con una delegazione dei Greens/EFA è cominciato con una deviazione imprevista: il volo da Copenhagen a Nuuk è tornato indietro per “condizioni non sicure”. Eppure da Nuuk arrivavano solo foto con un po’ di nebbia. Mi è tornato in mente quando, negli anni ’90, atterravo su piste ghiacciate per portare in ospedale un fegato da trapiantare.
Di ritorno a Copenhagen, la Sirenetta e una cena di pesce ci hanno offerto una parentesi leggera. Ma il viaggio vero è iniziato nei dialoghi. Con Roccu, Reinier, Sergey, Majdouline abbiamo parlato della morte del Papa, dei matrimoni gay che ho celebrato nel 2014, delle reazioni del Vaticano, della maternità surrogata. Senza ruoli, solo persone. Posizioni anche diverse, ma sempre rispettose.
A Nuuk, tutto è estremo: la natura, il silenzio, le responsabilità. Ho visitato TUSASS, l’azienda che garantisce le telecomunicazioni anche nei ghiacci. Con migliaia di km di cavi sottomarini, la Groenlandia punta a diventare un corridoio digitale tra Europa e Asia. Un’infrastruttura pubblica, non spinta dal profitto.
Con il WWF abbiamo parlato del cambiamento climatico: l’Artico si scalda tre volte più in fretta del resto del mondo. Il ghiaccio si scioglie, il permafrost si disgrega, la fauna scompare. Navi, miniere, turismo minacciano un equilibrio fragile. Le conseguenze? Globali.
La Groenlandia è al centro di interessi strategici enormi. Gli USA sono presenti da sempre. La Cina investe, compra, lavora il pesce groenlandese. L’Europa, spesso, osserva. Qui “indipendenza” è progetto concreto: pesca (35% del PIL), risorse minerarie, alleanze. E oggi, sono gli USA a sembrare più affidabili.
La realtà è complessa. Il riscaldamento globale la rende più urgente. Le slitte galleggiano sull’acqua, i cani faticano. Chi pagherà il prezzo ambientale? Tutti noi.
Qui “sicurezza” significa anche difendere natura, cultura Inuit, tradizioni. Le parole di Trump – “Annetteremo la Groenlandia in un modo o nell’altro” – fanno paura. Ma spingono, finalmente, a far sentire la propria voce.
Ho camminato tra ghiacci e parole. Ho ascoltato. Mi sono fatto domande. E spero che, anche qui, il futuro non venga deciso altrove.