La comunità di Roma ha bisogno di una nuova visione urbanistica

Conosco Roma dal 1969, da quando è diventata casa dopo i primi anni trascorsi a Genova, dove sono nato. Proprio mentre io iniziavo il ginnasio, vivendo e frequentando il centro storico, la città cominciava a espandersi in modo vertiginoso, vittima di occupazioni di suolo, costruzioni abusive o, nel migliore dei casi, disordinate e senza una strategia di comunità. La città cresceva e cambiava con me.

Dà da pensare il fatto che dagli anni ’80 a Roma siano state aperte circa seicentomila pratiche di condono edilizio. Questo dimostra che il 60 per cento delle nuove abitazioni ha un piccolo o un grande abuso, ma soprattutto che i permessi per costruire sono stati rilasciati anche in assenza di adeguate reti di trasporti e servizi come scuole, mercati, luoghi di cultura e di culto. Ancora oggi a Roma esistono interi quartieri privi di rete fognaria, di illuminazione, difficili da raggiungere con i mezzi pubblici, ma anche aree prive di acqua corrente potabile e ciononostante abitate da migliaia di famiglie.

La Roma nota ai turisti, quella dell’archeologia e dell’architettura realizzata tra il Cinquecento e il Settecento è un’area relativamente piccola che ospita meno abitanti di Perugia. La vita vera, la stragrande maggioranza dei romani, la vive altrove, lontano dal centro storico, in aree povere e spesso degradate.

La bellezza della Roma storica sopravvivrà nel tempo, ma Roma non può divenire una comunità senza una nuova visione urbanistica che ad oggi manca del tutto. Una città affetta da crisi irrisolte che escludono oltre due milioni di abitanti dalla crescita sociale ed economica. L’assenza di una strategia di sviluppo è causata soprattutto da una classe di imprenditori generalmente pigra, provinciale e pronta a tutto pur di evitare il rischio d’impresa. La conseguenza, nel migliore dei casi, è un sistema economico debole, nel turismo come nell’urbanistica, nel peggiore dei casi addirittura fuori legge.

Anche le istituzioni pubbliche, non solo i soggetti privati, operano scelte guidate da interessi di pochi che confliggono con il bene comune. Per non parlare dell’incoerenza di sovrapposizioni, duplicazioni e interferenze fra competenza comunale, regionale e statale su diversi importanti ambiti, il che complica la soluzione di tanti problemi.

Per tutto questo e non solo, Roma sembra aver perso ottimismo e speranza. Questo si traduce anche in una crescente carenza di senso civico e nello scarso rispetto delle regole di convivenza e collaborazione. Anche questi comportamenti sono strettamente legati all’incapacità della classe dirigente di offrire esempi virtuosi da emulare.

Roma ha bisogno di una visione urbanistica

Ho sostenuto più volte che il lavoro da fare per Roma dovrebbe partire da pochi ambiti prioritari che, a mio parere, sono trasporti, rifiuti, cultura, sicurezza, e archeologia.

Per i trasporti pubblici è importante specificare che le risorse (in aggiunta a quelle raccolte con la vendita dei biglietti) derivano dal Fondo Nazionale Trasporti che viene distribuito alle Regioni proporzionalmente al numero degli abitanti. Il Lazio riceve dallo Stato circa cinquecentosettantasei milioni di euro all’anno, la Lombardia ottocentocinquantatre. Ma Roma ha un territorio di milleduecentottantacinque chilometri quadrati, a differenza di Milano che ne ha solo settecentotre. E ancora, nel 2014 per i trasporti Roma ha ricevuto dalla Regione Lazio centoquaranta milioni di euro, mentre la Regione Lombardia ha destinato a Milano più del doppio, duecentottantacinque milioni di euro.

Roma non è solo la città più estesa d’Italia, è anche la Capitale. Come è possibile che i diversi livelli di governo non ne finanzino adeguatamente i trasporti? Per una volta, la soluzione non è destinare più soldi, ma modificare le modalità di finanziamento prevedendo uno stanziamento diretto dello Stato, senza la Regione come intermediario.

Per quanto riguarda i rifiuti, sono stato accusato spesso di aver chiuso la discarica di Malagrotta nel 2013 senza un piano alternativo. Questo è falso. La nostra strategia prevedeva tre azioni principali che avevamo iniziato ad implementare con successo: autonomia degli impianti, riduzione dei costi con incremento della produttività dei servizi e sviluppo della raccolta differenziata. Lo ritengo ancora un piano valido.

Per quel che riguarda la cultura, è essenziale che a Roma non ci si limiti a investire esclusivamente nel centro storico ma che si punti a istituire luoghi di formazione e aggregazione qualificata in ogni area della città. Questo potrebbe essere finanziato dal pubblico ma affidato al coordinamento di artisti e manager locali che vivono e conoscono il territorio.

Sulla sicurezza l’amministrazione locale deve contribuire investendo in illuminazione e videosorveglianza capillare in ogni angolo della città. D’altro canto, i punti finora elencati hanno un impatto diretto anche su questo ambito. Poter raggiungere una periferia agevolmente a bordo di mezzi pubblici funzionanti influisce sulla sicurezza del cittadino. Allo stesso modo, fornire ai giovani centri di aggregazione e iniziative culturali sul territorio aiuta a proporre alternative ai rischi della pigrizia e dell’indolenza che spesso alimentano la delinquenza.

Infine l’archeologia che resta una opportunità di ricchezza, un motore economico per creare posti di lavoro stabili e qualificati, con risorse finanziarie da distribuire anche al di fuori delle mura Aureliane. In una città come Roma all’indotto di un investimento organico sul parco archeologico centrale si devono aggiungere le donazioni di filantropi internazionali che devono essere attratte e ben gestite.

Allo stato attuale, però, il Sindaco di Roma non può decidere sui trasporti perché i fondi sono controllati dalla Regione, non può decidere sullo smaltimento dei rifiuti perché le autorizzazioni necessarie sono anch’esse competenza della Regione. Non può investire sul parco archeologico centrale perché i suoi poteri sono controllati da quelli del Ministro della Cultura.

Allo stesso tempo, però, il sindaco di una città metropolitana ha responsabilità enormi, compreso un bilancio annuale in alcuni casi superiore a quello di una grande azienda, con il rischio di essere denunciato ogni giorno.

Ho fatto il sindaco per ventotto mesi e, in relazione a questa carica, sono dovuto entrare nei palazzi della Giustizia come imputato decine di volte. Certo, sono stato sempre assolto con formula piena ma ne ho dovuto sostenere il costo morale e materiale. Ma in quelle udienze in tribunale non ero imputato come Sindaco che aveva preso una decisione per l’interesse della città, bensì come singolo individuo. Rimango orgoglioso di quelle decisioni ma non condivido l’idea che possano essere considerate dalla legge come le azioni di un privato cittadino.

Ignazio R. Marino

Professor of Surgery, Thomas Jefferson University

Executive Vice President for International Innovative Strategic Ventures, Thomas Jefferson University & Jefferson Health

Articolo originale su Il Quotidiano del Sud

Autore dell'articolo: Ignazio Marino