La ricerca italiana in Europa: una sfida da vincere per l’Italia

Nell’ultimo programma quadro dell’Unione Europea venivano messi a disposizione 50 miliardi di euro per ricercatori dell’UE. L’Italia ha partecipato anche in termini economici al programma quadro investendo il 14% delle risorse. Eppure i nostri ricercatori hanno riportato nei propri laboratori solo l’8% di finanziamenti.

No, non è responsabilità dei ricercatori ma delle istituzioni che non sono state al loro fianco.

Lo scorso 11 febbraio ho preso parte a un momento di confronto al CNR di Roma insieme ai rappresentanti dei principali istituti di ricerca, di molte università italiane e del mondo politico proprio per discutere di ricerca italiana in Europa.

È stata l’occasione per ribadire che la politica, a tutti i livelli, deve essere al fianco dei propri ricercatori, per dargli supporto anche amministrativo e consentirgli di gareggiare alla pari con tutti gli altri ricercatori europei.

I paesi del’UE 14 anni fa, a Lisbona, indicarono come obiettivo minimo per la ricerca un investimento pari al 3% del Pil di ogni paese, ma ad oggi l’Italia investe solo l’1,18%.

Insomma, in questi 15 anni non ci sono stati tagli nel settore della difesa, considerato settore fondamentale su cui investire. Governo e parlamento continuano a non comprendere che la ricerca è veramente motore di sviluppo di un Paese. L’ha capito invece la Germania, che in questi anni di crisi economica ha deciso di continuare a credere nella ricerca e ha deciso anzi di incrementare gli investimenti del 30%.

Roma deve fare la sua parte. L’abbiamo capito da subito, con la decisione di iniziare un dialogo costante con l’Europa e con i sindaci dell’Unione Europea. E non ci tireremo indietro.

 

Autore dell'articolo: Ignazio Marino